IL DELITTO CALABRESI OMBRE E COMPLOTTI

 

L'omicidio del commissario Luigi Calabresi come un crocevia dei misteri d’Italia. Una tragica concate- nazione di fatti collega, infatti, l’assassinio di Calabresi alla morte di Pinelli, all’eccidio di piazza Fontana, alla strage davanti alla questura di Milano e quindi alle trame dei servizi segreti, all’estrema destra golpista, perfino all’enigma di Gladio. Eppure – contro ogni logica e dopo un alluci- nante iter processuale – secondo la magistratura italiana i due colpi sparati il 17 maggio 1972 alla nuca del vice responsabile dell’ufficio politico della questura milanese sono da imputare a quattro militanti di Lotta Continua, un gruppo della nuova sinistra, sciolto nel 1976. Dopo 16 anni di indagini a vuoto, il caso Calabresi diventa il caso Sofri nel 1988, quando Leo- nardo Marino, un ex operaio diventato rapinatore - anche lui per anni in LC - dopo essere stato "gestito", all’insaputa della magi- stratura, per 17 giorni da un colon- nello dei carabinieri, "confessa" di aver partecipato all'omicidio che sarebbe stato compiuto da lui (autista) e da Ovidio Bompressi (killer) su ordine di due dirigenti di Lotta Continua, Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani. Un impianto accusatorio che ha palesemente il sapore del complotto, tesi, questa, però sempre respinta dagli imputati. Otto i processi

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celebrati. Processi indiziari, tutti basati unicamente sulle dichiarazioni – spesso senza alcun riscontro e palesemente contrastanti – di Marino, con un’assoluta carenza di prove e, addirittura con alcuni dei corpi del reato clamorosamente scomparsi o distrutti.Otto processi con alterne sentenze, fino alla definitiva: 22 anni per Sofri, Bompressi e Pietrostefani, la prescrizione del reato (cioè neppure un giorno di galera) per Marino. Otto processi, fino al rigetto, nel gennaio 2000, di un’istanza di revisione, ma che dimostrano la gravissima tendenza, ormai invalsa in gran parte della magistratura italiana, alla costruzione di teoremi accusatori assolutamente non dimostrabili. Un caso di palese ingiustizia. Ufficialmente – secondo le regole della giustizia italiana - il caso Calabresi è chiuso. Il caso Sofri no.

17 maggio 1972: a Milano, in via Cherubini, attorno alle 9.15 viene ucciso con due colpi di pistola sparati uno alla nuca e l’altro alla schiena, il commissario di polizia Luigi Calabresi, funzionario dell’ufficio politico della questura. Calabresi era stato accusato di essere tra i responsabili della morte del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, "precipitato" da una finestra della questura di Milano il 15 dicembre 1969, tre giorni dopo la strage di piazza Fontana.Calabresi verrà scagionato tre anni dopo il suo assassinio
2–17 luglio 1988: Interrogato per 17 giorni, all’insaputa della magistratura, dai carabinieri della Divisione Pastrengo, guidati dal col. Umberto Bonaventura, responsabile dell’anti- terrorismo di Milano, un ex militante di Lotta continua, Leonardo Marino, si accusa dell’omicidio Calabresi e indica in altri tre ex dell’organizzazione i suoi complici: Ovidio Bompressi avrebbe materialmente eseguito il delitto, su mandato di Adriano Sofri e  Giorgio Pietrostefani.  28 luglio 1988: Sofri, Bompressi e Pietrostefani vengono arrestati.
2 maggio 1990: I tre imputati vengono condannati, in primo grado, a 22 anni di reclusione. Marino, che li accusa e si autoaccusa, a 11 anni. Sofri non ricorre in appello. 12 luglio 1991: Primo processo d’appello: le condanne sono tutte confermate.
21 ottobre 1992: Le Sezioni Unite della Cassazione,   il  massimo organo giudicante dell’ordinamento giudiziario italiano, annullano la sentenza e rinviano gli atti per un nuovo pro- cesso. Il collegio, presieduto da Gaetano Lo Coco, relatore Umberto Feliciangeli, è composto da Vito Aliano, Vincenzo Auriemma, Brunello Della Penna, Bernardo Gambino, Guido Guasco, Giorgio Lattanzi e Francesco Siena.
21 dicembre 1993: Secondo processo d’Appello: tutti gli imputati vengono assolti. Assolto anche il "pentito" Marino. In contrasto con la decisione della corte, il giudice relatore, Ferdinando Pincioni, redige la motivazione in modo delibe- ratamente assurdo. E’ la cosiddetta: sentenza suicida, cioè una sentenza le cui motivazioni, pur propendendo per la condanna, si concludono con l’assoluzione.
27 ottobre 1994: La Prima sezione della Corte di Cassazione non può fare altro che annullare la sentenza suicida e rinviare gli atti per un nuovo processo: il quinto.  1994: I legali di Adriano Sofri presentano un’esposto alla procura di Brescia contro il giudice Ferdinando Pincioni, l’estensore della sentenza suicida. L’esposto viene respinto. 1994: Nuovo esposto di Sofri contro Pincioni. Il sostituto procuratore Fabio Salamone apre un fascicolo, ma non comincia neppure l’inchiesta. Tre anni dopo il GIP Anna Di Martino archivierà le accuse.
11 novembre 1995: Terzo processo di appello: gli imputati sono nuovamente condannati a 22 anni di reclusione. Per il "pentito" Leonardo Marino il reato viene dichiarato prescritto. I suoi conti con la giustizia sono chiusi.La corte è (Terza sezione d’Appello) è presieduta da Gian Giacomo Della Torre. 1995: I legali di Sofri presentano alla procura di Brescia una circostanziata denuncia contro il presidente della Terza sezione della corte d’Appello di Milano, Gian Giacomo Della Torre, accusato di comportamento parziale prima e durante il dibattimento ed in Camera di Consiglio. Della Torre è accusato anche di aver esercitato pressioni sui giudici popolari e di diverse irregolarità nella gestione del processo stesso.Il 25 marzo 1997 il PM Fabio Salamone chiederà al GIP l’archiviazione del procedimento. A questa richiesta, il 1 aprile 1997, si opporrà Adriano Sofri. 22 gennaio 1997: La Quinta Sezione della Corte di Cassazione conferma le condanne di Sofri, Bompressi e Pietrostefani e la prescrizione per Marino. La Corte è composta da: Vittorio Palmisano (presidente), Bruno Foscarini (relatore), Alfonso Malinconico, Nicola Marvulli e Aniello Nappi (consiglieri). 24-29 gennaio 1997: Sofri, Bom- pressi e Pietrostefani (che vive in Francia) si presentano al carcere di Pisa.  18 marzo 1998: La Corte d’Appello di Milano respinge la richiesta di revisione del processo avanzata dai tre imputati. 20 aprile 1998:    Bompressi     viene  scarcerato per motivi di salute. Il 18 agosto otterrà gli arresti domiciliari.
6 ottobre 1998: La Corte di Cassazione annulla l’ordinanza della Corte d’Appello di Milano che aveva respinto la richiesta di revisione del processo. La decisione passa alla Corte d’Appello di Brescia. 1 marzo 1999: La Corte d’Appello di Brescia respinge la richiesta di revisione. 4 marzo 1999: La difesa dei tre imputati presenta un’istanza di revoca dell’ordinanza di inammissibilità della richiesta di revisione, ma la Corte d’Appello di Brescia la respinge nuovamente. 27 maggio 1999: La Corte di Cassazione annulla l’ordinanza della Corte d’Appello di Brescia e rinvia la decisione a quella di Venezia. 24 agosto 1999: La Corte d’Appello di Venezia accoglie la richiesta di revisione del processo, fissa la prima udienza per il 20 ottobre, ma impone ai tre imputati l’obbligo di dimora ed il divieto di espatrio. Mentre Bompressi  scarcerato per motivi di salute. Il 18 agosto otterrà gli arresti domiciliari. 6 ottobre 1998: La Corte di Cassazione annulla l’ordinanza della Corte d’Appello di Milano che aveva respinto la richiesta di revisione del processo. La decisione passa alla Corte d’Appello di Brescia. Si trova già agli arresti domiciliari, Sofri e Pietrostefani lasciano il carcere di Pisa. 25 agosto 1999: I legali di Sofri, Bompressi e Pietrostefani ricorrono in Cassazione contro questo provve- dimento. 14 ottobre 1999: La Corte di Cassazione annulla con rinvio l’ordinanza della Corte d’Appello di Venezia sull’obbligo di dimora. 24 gennaio 2000: I giudici della quarta sezione della Corte d’Appello di Venezia rigettano la richiesta di revisione del processo e ordina "il ripristino dell’esecuzione della pena". Lo stesso giorno Adriano Sofri si presenta nel carcere di Pisa. Ovidio Bompressi – che a differenza degli altri due non presenta ricorso in Cassazione - si costituisce il 7 marzo, ma il 29 dello stesso mese viene scarcerato. Non si presenta invece Giorgio Pietrostefani che diventa a tutti gli effetti latitante.


 

 

 

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