Testimone di mafia abbandonato:«Mi aiuterete solo da morto?» Lostato dove sta'?
Bennardo Raimondi, 51 anni, siciliano, dieci anni fa denunciò un clan che gli imponeva pizzo e usura. Fece arrestare tutti, ma adesso è rimasto solo. «Ho bisogno di aiuto, mia moglie ha tentato il suicidio»
di T. Ferrari
«Forse quando moriremo io e la mia famiglia, forse solo allora qualcuno si ricorderà di noi e di tutte le richieste di aiuto che sto inviando ovunque. Ma sarà troppo tardi». Non è solo un urlo per chiedere aiuto, ma anche un atto di denuncia quello di Bennardo Raimondi, 51 anni, uno dei testimoni di giustizia italiani da anni in lotta non solo per ottenere la condanna dei suoi aguzzini, ma anche per una vita dignitosa. «In Italia prima ti usano, e poi ti abbandonano. Io ho avuto il coraggio di denunciare gli affiliati a un clan della mafia molto potente, dediti al racket e all'usura. Pensate che in cambio lo Stato mi abbia aiutato? Nel frattempo, sono finito sul lastrico, con un figlio malato che non posso far curare e una moglie che, per la depressione, sei mesi fa ha tentato il suicidio», dice.
Avevamo conosciuto Bennardo Raimondi nel marzo di due anni fa. Ci aveva raccontato la sua storia di testimone abbandonato dallo Stato in un servizio dal titolo Noi testimoni (della paura).
«Ho deciso di rendere pubblica la mia storia per amore di mio figlio», ci aveva detto Raimondi, «Da 35 anni produco oggetti in ceramica e terracotta. Avevo otto dipendenti, esportavo all’estero. Nel ’98 morirono il mio primo figlio, appena nato, e mio fratello. Rimasi indietro col lavoro, finii nelle mani degli strozzini. Nel 2003, dovetti vendere il negozio. Non li ho denunciati subito, avevo altro a cui pensare: mia moglie aveva avuto un parto gemellare prematuro, con un bimbo nato morto e l’altro, Antonino, con malformazioni agli occhi e all’intestino. Alla fine, però, ho fatto arrestare tutti».
Le persone contro cui Bennardo ha testimoniato erano vicine al clan di Bernardo Provenzano. Dopo gli arresti, la sua vita è diventata un incubo: minacce di morte, e l'impossibilità di vendere i suoi prodotti nel suo paese, vicino a Palermo. «Nessuno compra da me, per paura».
Dopo il nostro servizio, qualcosa era cambiato. «Molte persone mi hanno aiutato, ho aperto anche un negozietto su Internet. Ma è durata poco».
Per quale motivo?
«Non sono un personaggio famoso, se uno non conosce la mia storia non mi cerca. Il mio sito è rimasto invisibile ai più. Inoltre, essendo in difficoltà economiche da anni, non riesco a promuoverlo».
Ha chiesto aiuto allo Stato e alle associazioni antipizzo?
«Sto mandando lettere ovunque. Sto persino supplicando il Comune di aiutarmi con la casa, perché dove vivo piove dentro. Mi hanno risposto che non ci sono posti nelle case popolari e che, essendo io in affitto, devo rivolgermi al padrone di casa. Ma lui mi fa stare lì anche se da mesi non pago l'affitto. Non ho soldi per nutrire la mia famiglia. Mio figlio Antonino, nato con malformazioni, avrebbe bisogno di cure, ma non ho i soldi per pagarle. Per la disperazione mia moglie, sei mesi fa, si è buttata dal balcone. Per fortuna, mia cognata si è accorta di tutto ed è riuscita a non farla cadere giù, altrimenti sarebbe morta. Sono disperato, così non posso andare avanti».
Che cosa si può fare per aiutarla?
«Ho bisogno di riavviare la mia attività. Io voglio lavorare, perché solo così posso mantenere la mia famiglia. Non chiedo soldi allo Stato, ma solo di aiutarmi a rimettere in piedi l'azienda che ho dovuto chiudere. Nel frattempo continuo a produrre ceramiche per mantenermi, ma nel mio paese nessuno compra gli oggetti che produco per paura della mafia».
Dove si possono trovare i suoi oggetti?
«Su Internet, all'indirizzo https://bennardomarioraimondi.weebly.com/index.html c'è la mia storia e i miei prodotti. Chi vuole può aiutarmi così».