Il golpe dei magistrati: lo "zietto Berlusconi" deve togliere il disturbo

Roma - Non è un modo di dire affettuoso, tutt’altro. Quando si augurano che «lo zietto Berlusconi» al più presto «tolga il disturbo», i magistrati che si confrontano sulla loro mailing list appaiono pieni di rabbia.

Contro l’annunciata riforma costituzionale della giustizia, che domani approda a Palazzo Chigi, nelle e-mail che giudici e pm si incrociano emerge la richiesta di una svolta ancor più politica nell’Anm, la cui Giunta oggi decide le forme di protesta. «Una corporazione - scrive uno dei leader della corrente di sinistra Movimento per la giustizia, Vito D’Ambrosio (già al Csm e presidente della regione Marche per l’Ulivo)- da sola non può reggere uno scontro del tutto politico se non gioca politicamente». Vuole una mobilitazione «dentro e fuori del Parlamento», perché l’importante ormai è convincere gli elettori a punire nelle urne la maggioranza. I toni sono da «sfida all’Ok Corral», da «Mezzogiorno di fuoco», da «contrapposizione durissima tra arcoriani& co e magistrati».

Una «pasionaria» in toga invoca «una reazione forte e compatta», «una forma di protesta estrema, uno sciopero lungo, mai realizzato e tutti, tutti uniti». Ma D’Ambrosio risponde che va bene «minacciare lo sciopero, ma lo strumento è ormai logoro e logorato: si tratta di attrezzarsi per una maratona, non per una gara di velocità».

Quale sarà, allora, la strategia dei magistrati contro le riforme berlusconiane? Più che a bloccare le leggi si punta a convincere i cittadini della loro iniquità. Le proposte si moltiplicano, dal vademecum che ogni toga dovrebbe seguire in convegni e dibattiti per attaccare riforma, ddl intercettazioni, processo breve, alle pagine di pubblicità sui giornali per diffondere la protesta, all’uso di Facebook.

Il padre nobile, il maestro, è per i magistrati l’ex-presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky. Lo cita come un manifesto Armando Spataro, grande capo del Movimento: «L’unica cosa che appare chiara è l’intenzione di distruggere gli equilibri costituzionali in favore dell’accentrarsi in poche mani del potere di comando. Oggi siamo a un bivio: o questa china o la difesa e la rivitalizzazione della Costituzione che abbiamo. Ognuno faccia la sua scelta».

Ma ognuno può farla fino a un certo punto. Perché chi mostra moderazione e desta il sospetto di voler dialogare viene bollato, attaccato, accusato di fare il gioco del nemico. Dal dibattito telematico emergono le forti pressioni sull’Associazione nazionale magistrati, perché reagisca duramente, sempre più come soggetto politico. Però, avverte Spataro, «se risposte rapide e nuove non ci saranno dall’Anm, è chiaro che saranno possibili iniziative autonome di cui anche i “ rassegnati” che scrivono in lista, dovranno prendere atto». I «rassegnati», appunto, o anche «gli scettici» come li chiamano con vago disprezzo sulla mailing list, avanzano inutili dubbi. Magari sono della corrente moderata Magistratura indipendente, la più restia alle estreme proteste, come Mario Ardigò. Osa ricordare che alcuni punti della riforma «trovano antecedenti in progetti nati nell’attuale opposizione». Non solo: pur premettendo che seguirà qualsiasi decisione dell’Anm, fa notare: «Ma una cosa è opporsi con forza e un’altra è avere la forza politica di opporsi con efficacia. Siamo solo diecimila...». Felice Pizzi, giudice di Santamaria Capua Vetere, quello che parla dello «zietto Berlusconi», non è d’accordo. «Il modo di opporci con forza c’è e a questo punto poco importa se i cittadini si faranno un’opinione della magistratura come casta politicizzata, visto che ormai questa opinione è già dominante». È proprio la preoccupazione di Ardigò, ma agli altri poco importa.

Nel mirino, ci sono anche i magistrati fuori ruolo al ministero della Giustizia. Che sono, collaborazionisti? Aiutano, proprio loro, a scrivere le leggi infami? Carlo Renoldi chiede un atto estremo di fedeltà alla causa: se ne vadano subito dopo la presentazione della riforma. «Vorrei essere rassicurato - scrive - che non venga fatta (anche) in vostro nome».

 

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