Così comincia l’ultima (e decisamente interessante) fatica scientifica di Alberto Alesina con Bryony Reich

Abbiamo fatto l’Europa, come si fanno gli europei?

Al tempo dell’Unità d’Italia solo il 10% della popolazione parlava italiano. Come ammise Massimo d’Azeglio (uno dei fondatori dell’Italia unita): “abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”.”’

Così comincia l’ultima (e decisamente interessante) fatica scientifica di Alberto Alesina con Bryony Reich. Lavoro che si pone l’affascinante scopo, soprattutto a se pensiamo alla sua rilevanza per la questione europea, del quanta omogeneizzazione culturale sceglieranno (al fine di raggiungere i propri personali obiettivi) i governanti di un’area fatta di persone tra loro diverse. E quanto questa omogeneizzazione permetterà di

evitare una secessione di un gruppo del Paese, per non sgretolare la potenziale “nazione di diversi”.

Gustavo Piga

Professor of EconomicsGustavo Piga

Ulla. Che domandona. Eppure va posta.

Gli autori ovviamente presumono tanto; in primis, che i governanti possano influenzare con le loro scelte politiche il livello di omogeneità culturale all’interno del loro Paese. Lo farebbero, secondo i due autori, con la scelta delle politiche dell’istruzione ma anche delle infrastrutture comuni, spesso capaci di avvicinare le persone (pensate al Ponte, scelto non a caso come simbolo dei Viaggiatori in Movimento).

Perché e quando dovrebbero coloro che comandano spingere verso l’omogeneizzazione all’interno del Paese?

Sono parecchi i casi che considerano i nostri autori, fondamentalmente dividendo tra dittature e democrazie, e tra le prime considerando quelle con il potere saldamente in mano al dittatore (o a una élite, o a una delle etnie) e quelle invece consce di essere vicine a cedere il potere a forme di rappresentanza più democratica.

Primo caso: democrazia. In questa i costi dell’omogeneizzazione (infrastrutture, scuole, imposizione di regole comuni) sono pesate rispetto ai suoi benefici (maggiore accesso e mobilità, maggiore scambio culturale, maggiore coesione). Ne emergerà un certo livello di omogeneizzazione, democraticamente prescelta, capace di evolversi nel tempo a seconda delle decisioni, appunto, della maggioranza.

Un attimo di pausa. A cosa possiamo paragonare questo caso? Immaginate che esso sia equivalente al caso statunitense, Paese all’inizio della sua storia tormentato dalle fortissime differenze culturali tra Stati, dove lentamente abbiamo assistito ad un processo di “omogeneizzazione guidata”, con maggiore o minore intensità a seconda del momento storico (a volte con la guerra, a volte con la forza – pensate all’invio di truppe al Sud inviate da Robert Kennedy per ottenere maggiore integrazione razziale – e spesso con infrastrutture interfederali come autostrade e programmi scolastici).

Che succede rispetto al caso di una democrazia con una dittatura?

Per prima cosa i due autori considerano un dittatore (o una élite, o un’etnia) che abbiano saldamente il potere in mano. In tal caso il dittatore avrà scarsissimo interesse strategico per una politica di omogeneizzazione: tasserà quanto basta per ottenere la spesa che più gli aggrada come gruppo di potere.

Vediamo come si applica questo caso potenzialmente all’Europa (miei sono i pensieri, non degli autori che non guardano all’Unione europea, anche se secondo me ci hanno pensato quando scrivevano il loro lavoro). Pensate voi che l’Europa sia in mano alla élite tedesca e che questa non tema di vedersi sottratto il potere decisionale da altri Paesi? Allora in Europa dovremmo, se sono valide le intuizioni degli autori, vedere tasse, spese e deficit come li vogliono i tedeschi e nessun interesse a omogeneizzare culturalmente le politiche, riducendo per esempio l’austerità. E’ forse questo il caso attuale? Può darsi.

Qualcuno potrebbe poi voler analizzare il caso di cosa avverrebbe a questa scelte se il “dittatore” (la Germania) temesse invece un inevitabile processo di democratizzazione delle scelte e cessione di potere. Alesina e coautore vedono due minacce per l’élite dall’arrivo prossimo di una perdita di potere: il rischio di secessione di alcuni gruppi (immaginatela come un’uscita dall’euro) e la possibilità che la spesa e il suo finanziamento (debito vs. tasse e che tipo di tasse) siano diverse da quelle desiderate (immaginatele, di nuovo, come minore austerità). In questo caso sarà interesse dell’elite dominante promuovere maggiore omogeneizzazione, addirittura di più di quanta non se ne avrebbe in democrazia: come risultato il rischio di secessione sarà minore e altrettanto minore la differenza tra aree del Paese rispetto ai livelli e tipi di spesa ed il finanziamento della stessa che non in democrazia.

E’ forse questo il caso a cui stiamo assistendo in questi giorni, in cui di fronte al pericolo derivante dall’esito dell’elezione italiana l’area dell’euro Nord sta facendo passi veloci e alquanto terrorizzati per promettere di essere meno severi con l’austerità? Può darsi ….

Ma maggiore omogeneizzazione potrebbe voler dire due cose: o tutti più simili al Nord, o tutti più simili al Sud (dell’euro).

E infatto Alesina e Co. vedono due tipi possibili di omogeneizzazione: una brutale ed una gentile. La prima è a scapito delle minoranze non al potere (l’area dell’euro Sud?), la seconda divide i costi di questa tra Paesi. E concludono come le élite sceglieranno sempre forme di omogeneizzazione brutale. Se pensiamo allora che nelle promesse di solidarietà postume arrivate in questi giorni non ci sono grandi “sacrifici” tedeschi ad essere anche loro più espansivi, ma solo ai paesi “sud” di essere meno “austeri”, in effetti non pare che tale omogeneizzazione delle pratiche di politica economica sia stata particolarmente “gentile”, solo un po’ meno … “brutale”.

Infine verificano come le politiche di omogeneizzazione impattano sulla probabilità di secessione da parte di coloro che non detengono il potere. Il risultato è che dipende: potrebbe aumentare o diminuire. In particolare, diventare troppo a favore dell’omogeneizzazione venendo incontro alle esigenze delle minoranze potrebbe far sì che queste ultime (italiane, spagnole, greche) possano allearsi meglio tra loro. Pensate all’omogeneizzazione come a minore austerità: se è vero che quando soffri meno pensi di meno alla tua pancia e ti guardi intorno di più, cercando magari alleati, forse questo dovrebbe far aumentare il rischio di secessione perché maggiore è il potere decisionale delle minoranze. In questo caso è meglio applicare il vecchio detto “divide et impera”, evitando di venire in soccorso di chi soffre la crisi economica, così lasciando ogni Paese talmente tanto in difficoltà e coi suoi problemi interni che non ha tempo di tessere alleanze alternative.

Ecco, per avviare il lento processo di creazione di una Nazione più omogenea culturalmente che assomigli al percorso statunitense, bisogna cominciare dal levare il pallino decisionale dalle mani delle nazioni europee che più in questo momento guidano il processo, i paesi … del Nord. Questo comporta paradossalmente il rischio di maggiore secessione da parte dei paesi del Sud. A meno che, contemporaneamente al passaggio democratico non si ottengano rapidissime e sostanziose diminuzioni di austerità (cioè di minore omogeneizzazione tra Paesi, con una Germania che accetta l’idea di partecipare a scelte che non sono quelle ideali per il suo stretto interesse nazionale).

Insomma, camminiamo sulla lama di un rasoio dove per avere maggiore omogeneizzazione tra cent’anni dobbiamo averne meno oggi, come ho sempre sostenuto, senza però che questa minore omogeneità oggi si ottenga via secessione.

Difficile? Certo. D’altro canto anche gli Stati Uniti lo hanno fatto.

Tuttavia con ben minore masochismo e ben maggiore pragmatismo e senso della direzione di quanto non lo si sia mai fatto noi sinora. Sveglia Europa!

 

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