LIBIA: L'OPZIONE MILITARE, GLI INTERESSI USA E LA DEMOCRAZIA CHE NON PAGA

LIBIA: L'OPZIONE MILITARE, GLI INTERESSI USA E LA DEMOCRAZIA CHE NON PAGA
 
Nello scenario politico-ideologico del Medio Oriente e del Nord Africa la democrazia non è nemmeno un optional e, ogni qualvolta si crea un’area di crisi, cresce esponenzialmente la diffusione del terrorismo islamico. Le svolte autoritarie non sono quindi il problema, ma quasi sempre la soluzione.
E’ il caso del generale Abdul Fattah Khalil al Sisi in Egitto, lo è da quasi trent'anni dei generali che per interposta persona governano l’Algeria, così come lo è per la sopravvivenza politica e militare della famiglia Assad in Siria e, in ultimo, del generale
Khalifa Belqasim Haftar in Libia. Se quindi, nelle rispettive elezioni presidenziali, al Sisi raccoglie il 97 % dei suffragi e Bashar al Assad l’88%, lo scandalo che dovrebbe seguire ad una manifesta manipolazione del consenso non ha poi luogo. In Libia soprattutto, dove bande armate, milizie etniche e cittadine, rivalità regionali ed interessi incrociati la fanno da padrone e tendono ad una somalizzazione strisciante del paese, la soluzione autoritaria è alla fine l’unica strada percorribile. Soluzioni autoritarie? Lo hanno capito quei cittadini libici che sono alla ricerca di una sicurezza fisica personale, lo hanno capito, soprattutto, quei paesi della regione e quelle potenze straniere che hanno interessi economici e politici da preservare. Messa da parte la teoria dell’esportazione della democrazia tanto cara a giustificare le azioni militari dell’amministrazione Bush, passando dall’etica al pragmatismo l’attuale dirigenza americana ha capito che la situazione libica non si risolve con le parole o le affermazioni di principio, ma con i fatti. Barack Obama ha capito che la stabilità di un paese è più importante della sua configurazione politica, ma, soprattutto, ha compreso che assecondare presunti aneliti di democrazia o giustizia sociale in questa parte di mondo per poi magari trovarsi davanti ad un ennesimo focolaio di terrorismo non è un evento auspicabile, politicamente o economicamente pagante ed è essenzialmente pericoloso. L’amministrazione americana ha imparato la lezione derivata dall'aver assecondato i
Fratelli Musulmani in Egitto (poi abbandonati al loro destino), dall'aver sostenuto acriticamente l'opposizione al regime siriano (cadendo Assad si sarebbe aperto, come dimostra l'avanzata dell'ISIS, un nuovo fronte della guerra al terrorismo islamico) e dall'aver portato l'Iraq verso la disintegrazione dopo il proprio intervento militare. Come ultima tappa di questa metabolizzazione di eventi e circostanze adesso, in modo non palese, ma con il silenzio ufficiale che suona come una conferma, gli Stati Uniti guardanoalle iniziative militari del generale Haftar in Libia non solo come il minore dei mali, ma anche forse come la risoluzione degli stessi. Da queste considerazioni americane, dalle spropositate e mai nascoste ambizioni di Haftar, dal sostegno dichiarato e sottolineato del collega al Sisi in Egitto, dai soldi e compiacenze della CIA (e sembra anche dell’Arabia Saudita), nasce l’avventura militare di Haftar. 

L'ascesa del generale Haftar

 
Il 16 maggio 2014 Khalifa Belqasim Haftar ha lanciato l'Operazione Dignità nel dichiarato tentativo di eliminare il terrorismo dalla Cirenaica e cercando così di accreditarsi come il Muammar Gheddafi del futuro. Gli obiettivi, infatti, sono più ampi di quelli della lotta al fondamentalismo (che riceve sempre l'appoggio chiave di chi vede un pericolo nella sua diffusione in Libia) e si estendono all'eliminazione di un Parlamento e di un governo che non funzionano (dati, questi ultimi, inequivocabili), fino al dare ampio spazio all'ego del generale libico. Il fallito attentato nei suoi confronti del 4 giugno 2014 sembra averne anche rinvigorito l’ardore militare. Anche perché – ed è oramai una circostanza acclarata – solo l’insorgenza di un uomo forte può bloccare la dissoluzione del paese.
Come sempre accade, sul carro del vincitore stanno salendo altre milizie armate, in primis quelle di Zintan fin dagli albori della guerra civile in competizione armata con i loro omologhi di Misurata (che invece militano sul fronte opposto e sembrano più vicine alle istanze islamiche). Una nuova leadership sarà misurata dalla forza delle armi e non del consenso popolare. Quest'ultimo è un fattore che in questa parte di mondo assume, ai fini della democrazia e dei diritti umani, connotati irrilevanti. Vi è poi un elemento – questa volta esogeno – che dà ulteriore forza ad Haftar: il gradimento di una parte di mondo che ha paura della dissoluzione dello stato libico. 
 

Biografia del nuovo Gheddafi 

 
Khalifa Belqasim Haftar è stato un uomo di Gheddafi sin dal colpo di stato contro re Idris nel 1969 e fino alla sua caduta in disgrazia dopo il fallimento dell’avventura militare del Raìs alla conquista della Striscia di Aouzou in Ciad negli anni ‘80. Catturato dai ciadiani, incarcerato e abbandonato da Gheddafi, una volta liberato è emigrato negli Stati Uniti diventando così una pedina della CIA in quel tentativo – nei fatti fallito – di sponsorizzare ed alimentare la dissidenza politica e militare nei confronti del dittatore libico. Haftar, insieme ad altri ufficiali liberati in Ciad (il colonnello Saleh Mohammed Habbouni, i tenente colonnello Abdallah Shaikhi e Salem Rahman), aderisce al Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia (FNSL) fondato dall’ex ambasciatore libico in India, Mohamed Megaryef. Tra le tante sigle e organizzazioni di cui era costellata l’opposizione a Gheddafi all’estero, il FNSL era probabilmente la più qualificata, sia per il suo attivismo che per il numero di aderenti. Fondata il 7 ottobre 1981 a Khartoum, di ispirazione filo-occidentale con sedi negli Stati Uniti e al Cairo, è responsabile di una delle operazioni militari più eclatanti
contro Gheddafi: l’attacco, peraltro fallito, contro la caserma di Bab Azizya nel cuore diTripoli e residenza del Raìs l’8 maggio 1984. Da quel momento il FNSL era diventato l’obiettivo primario dei sicari del regime nella loro caccia ai dissidenti. Uno dei leader del
fronte, Yousef Krebesh, veniva eliminato il 26 giugno 1987 da un commando dei comitati Rivoluzionari a Roma (due dei quattro sicari furono arrestati). Altrettante sparizioni di esponenti del fronte ebbero luogo in Giordania e Egitto. All'ex generale di Gheddafi viene affidato l’incarico di guidare l’Esercito Nazionale Libico nel tentativo di portare avanti un colpo di stato militare contro la Guida Suprema. L’operazione militare doveva partire dal Ciad, ma il tentativo fallisce in seguito alla defenestrazione del presidente ciadiano Hissène Habrè da parte di Idriss Déby e che porta ad un riavvicinamento tra Tripoli e N'Djamena. Khalifa Haftar ed i suoi uomini scappano e riescono a salvarsi tornando negli USA (altri, invece, si riconcilieranno col regime). Ma, nonostante il fallimento dell’operazione militare, Haftar si guadagna la patente di affidabilità e la considerazione di chi lo sponsorizza, nominalmente la CIA.  Ricomparirà sul suolo libico assieme al FNSL nel marzo del 2011 a fianco dei ribelli di Benghazi. Haftar come leader militare e Youssef Megaryef come leader politico. Quest’ultimo ricoprirà l’incarico di Presidente del Congresso Generale Nazionale dal
settembre 2012 al maggio 2013. Incarico che Megaryef dovrà lasciare in virtù della legge che impedisce a personaggi legati – anche se pro-tempore – al vecchio regime di ricoprire posizioni di responsabilità. Khalifa Haftar riprende a coltivare le proprie ambizioni, inizialmente frustrate dal fatto che nella gerarchia militare delle forze ribelli lui non è il capo. Sopra di lui c’era Abdul Fattah Younis, altro vecchio sodale di Gheddafi, ex ministro dell’Interno, passato armi e bagagli e uomini all’opposizione all’ultimo momento. Younis muore in circostanze mai chiarite nel luglio del 2011. Qualcuno ipotizza la complicità di Haftar nella sua morte.


La strada verso Tripoli Oggi il generale Haftar, con la sua “Operazione Dignità”, è mosso da vari obiettivi: eliminare la minaccia islamica dalla Cirenaica, dare al paese stabilità e sicurezza che oggi  non esistono, evitare laddove possibile una frammentazione regionale della nazione, ma soprattutto dare spazio alle sue velleità e ambizioni personali nella prospettiva di diventare il nuovo Raìs. Ha i soldi e i sostegni esterni necessari per farlo. Dietro al FNSL ci sono sempre stati finanziamenti americani, sauditi e inglesi. Questo spiegherebbe anche perché Haftar abbia oggi un’abbondanza di armamenti, compresi elicotteri ed aerei (di costruzione russa) e possa permettersi di avere alle proprie dipendenze un esercito (e quindi anche i soldi per pagargli uno stipendio). Ma come tutti gli aspiranti dittatori, diventerà Rais solo se vincerà la sua guerra. Con l’arresto in Cirenaica e l'estradizione il 18 giugno 2014 del leader di Ansar al Sharia, Ahmed Abu Khattala, personaggio ritenuto responsabile dell’uccisione dell’ambasciatore Christopher Stevens nel 2012, il generale Haftar ha guadagnato ulteriori punti nella
considerazione americana. L’arresto di Khattala è stato ufficialmente attribuito all’FBI e alla Delta Force, ma niente sarebbe potuto avvenire senza il fattivo sostegno locale da parte degli uomini del generale. Da adesso in poi Haftar può anche contare sul sostegnodell'intelligence americano e questo potrebbe spianargli la strada che da Benghazi va a Tripoli.
 
 

Inserito da Domenico Marigliano Blogger

 

 

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